MUSEO TEO STORY

 MUSEO TEO: UNA VITA AI BORDI DEL SISTEMA DELL’ARTE  

Domenica l'altra al Care Of non ho visto nemmeno Bai e Telloli, ultimi anelli di congiunzione tra l'arte e il genere umano. (Carlo Alberto Buzzi)

Sono le diciassette e cinquantanove di un giorno di fine settembre. Siamo al secondo piano di un vecchio immobile nel centro di Milano, nel secondo cortile, nell'ala ricostruita dopo la guerra. La porta di ingresso dell'appartamento a sinistra è azzurra fuori e gialla dentro, e tra pochi giorni sarà murata, come è già avvenuto per altre porte e altri appartamenti.

Le stanze sono vuote e, salvo le pareti, conservano poche tracce del loro passato. In queste stanze, dove ha vissuto e lavorato Giovanni Bai, sta per terminare un’esperienza e iniziarne una nuova. Nell'appartamento si sta per inaugurare una mostra, e infatti alle pareti sono appesi quadri, disegni, oggetti, foto, che appartengono per lo più all'artista che ha voluto questa mostra ispirata a Georges Perec e a lui è dedicata.

L'appartamento è ora uno spazio vuoto in cui, come nell'appartamento di Gaspard Winkler in La vita istruzioni per l’uso, resta quello che resta quando non resta niente; alle pareti però ci sono una serie di testimonianze che appartengono al museo personale dell'artista e costituiscono un altrettanto personale "mi ricordo". La mostra che tra poco si inaugura è la prima iniziativa di Museo Teo, è il primo tassello di un puzzle che si andrà componendo come quello di Perec. 

Con questo invito si annunciava la nascita di Museo Teo. La presentazione era pretenziosa ma si sarebbe rivelata esatta, non era solo una mostra che sarebbe durata una sera soltanto. Non lo sapevamo, ma ci abbiamo provato. 

La casa di Via San Sisto al Carrobbio era stata occupata, verso la metà degli anni settanta, parallelamente all’edificio nell’adiacente Via Santa Marta che era divenuto un centro sociale. Mentre quest’ultimo fu sgomberato e restituito alla proprietà molti anni prima, la casa di Via San Sisto era abitata soprattutto da famiglie. La occupazione di Via San Sisto doveva la sua longevità probabilmente alla intricata e non chiara situazione proprietaria e alla difficoltà di realizzare la progettata speculazione. Nel 1990 la proprietà si era rifatta viva e aveva offerto un indennizzo ai nuovi inquilini – ancorché abusivi ma lì regolarmente residenti – ed era in corso l’abbandono dello stabile.

Non volevo lasciare quella casa quasi alla chetichella e quindi avevo dato una prima forma a un progetto su cui da tempo andavamo pensando, a partire da quell’idea di Teo Telloli nata quasi per gioco, che diceva che da grande avrebbe aperto Museo Teo. Avevamo da tempo stampato degli adesivi con il logo (disegnato da Matteo Bologna) che avevamo diffuso anche alla Biennale di Venezia.

Tuttavia la risposta che potevamo dare su che cosa fosse era molto vaga, accennando a una rivista, che avrebbe però visto la luce solo alla fine del 1991, ma allora non lo immaginavamo neppure.

Le idee sulla rivista avevano però una certezza, se dopo il primo numero fossimo riusciti a fare il secondo, allora sarebbero venuti il terzo il quarto e così via. E così in effetti sarebbe stato: l’ultimo numero pubblicato è il quarantotto. Fare una seconda mostra, dopo la prima, sarebbe sicuramente stato più facile… L’occasione di avere un appartamento vuoto libero per alcuni giorni prima che la porta venisse murata e la voglia di fare accelerarono la decisione di fare effettivamente qualcosa, e una mostra appariva la cosa più semplice.

Le pareti di quella casa si riempirono di opere (e le stanze di centinaia di persone, artisti e amici, tra cui mi piace ricordare Rossana Bossaglia) e dopo poche ore tornarono al loro oblio: nasceva così il «museo del terzo millennio, senza sede e senza opere, itinerante e trasversale…» come ancora oggi ama definirsi. Museoteo+ ha continuato a esplorare la realtà sociale con leggerezza e ironia per mezzo dell’arte contemporanea, dando così vita a un’opera collettiva in continua trasformazione.

Quella sera avrebbe davvero cambiato la mia vita che avrebbe iniziato a coincidere, almeno parzialmente, con quella di Museo Teo. Trentacinque anni fa. Ne avevo trentotto: più o meno nel “mezzo del cammin di nostra vita”, anche se spero di vivere un po’ di più rispetto al puro calcolo dantesco. La storia di Museo Teo, museo senza sede e senza opere, è la storia degli ultimi trentacinque anni (in realtà almeno cinquanta) con particolare riferimento alle vicende del mondo un po’ strano dell’arte contemporanea. Una storia fondata su storie ed esperienze vissute, grazie soprattutto a personaggi che la storia dell’arte l’hanno fatta davvero… ma in questa storia ci siamo a pieno titolo anche noi.

(Giovanni Bai)